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fai emergere il tuo valore: rivaluta i tuoi intangibles. Ora si può!

, di Marco Giuliani

uomorLa Legge di Stabilità per il 2014 ripropone la possibilità di rivalutare, tra gli altri, i beni immateriali detenuti in regime di impresa. Tra i beni immateriali rivalutabili rientrano marchi, brevetti, know-how, licenze, concessioni, e gli altri beni non tangibili rappresentati da diritti giuridicamente tutelati. Non sono quindi rivalutabili i costi pluriennali come gli oneri di impianto, di pubblicità, di R&S, l’avviamento e così via.

La rivalutazione produce effetti civili e fiscali a fronte del pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP. Il provvedimento riguarda i beni iscritti a bilancio al 31/12/2012 e potrà essere applicato una tantum nel bilancio di esercizio 2013.

Condizione essenziale per poter operare la rivalutazione è che il bene abbia un valore economico superiore a quello risultante dalle scritture contabili. Infatti, spesso accade che il bene immateriale possieda ancora un valore economico ma venga rappresentato solo per un valore minimo (es. solo per le spese legali di registrazione) o non venga indicato affatto nell’attivo patrimoniale in quanto interamente ammortizzato.

In questo scritto non ci focalizzeremo sui profili giuridici, contabili o fiscali di tale norma ma su due interrogativi fondamentali:

  1. Perché rivalutare gli intangibles?
  2. Quale è il valore corrente dei beni immateriali?

Relativamente al primo punto, per le società titolari di marchi e brevetti si tratta di una interessante opportunità in quanto la rivalutazione ha molteplici effetti positivi, quali:

  • una riduzione del differenziale fantasma, ossia del gap tra valore economico aziendale e patrimonio netto contabile
  • una rappresentazione più realistica di beni, spesso di grande valore, indicati in bilancio per un ammontare irrisorio, spesso collegato alle sole spese legali di registrazione della proprietà intellettuale;
  • un miglioramento del rating bancario del soggetto, con applicazione di costi bancari più favorevoli;
  • un incremento della possibilità di ottenere nuovi finanziamenti, se il soggetto presente un flusso di liquidità adeguato;
  • un miglioramento degli indici patrimoniali di bilancio;
  • un miglioramento del livello di capitalizzazione aziendale;
  • la possibilità di assorbire meglio eventuali perdite;
  • permette di portare in deduzione maggiori ammortamenti, alleggerendo così il carico fiscale.

Come ogni opportunità, tuttavia, anche questa necessita di essere ponderata sulla base delle specificità aziendali: la rivalutazione non risulta sempre vantaggiosa ed è pertanto fondamentale valutare attraverso stime precise le variazioni nella fiscalità e nelle quote di ammortamento.

Una volta deciso che è opportuno procedere alla rivalutazione, il problema successivo che si pone è individuare quale valore attribuire al bene. Appare utile premettere che non è richiesta una perizia ufficiale, anche se la medesima è fortemente consigliata, specialmente per le società di capitali munite di organo di controllo.

La norma prevede che il valore attribuito ad ognuno dei beni oggetto di rivalutazione, al netto degli ammortamenti, non può essere superiore al valore realizzabile nel mercato o al maggior valore che può essere fondatamente attribuito in base alla valutazione della capacità produttiva e della possibilità di utilizzazione economica nell’impresa. È, peraltro, possibile far emergere in bilancio valori inferiori al predetto limite. Trattasi quindi di far riferimento al valore di mercato e al valore d’uso dei beni immateriali.

Per la stima di tali configurazione dei valore la dottrina e la prassi hanno elaborato vari metodi in relazione alla base dati disponibile nonché al tipo e alle caratteristiche dell’oggetto di stima. E’ fondamentale una competenza specialistica per individuare il metodo più appropriato e poter adeguatamente comprendere e valorizzare la risorsa, evitando così contestazioni da parte di terzi.

Concludendo, l’opportunità è molto interessante e deve essere attentamente valutata. Inoltre è fondamentale affidarsi a professionisti esperti in grado di produrre delle valutazioni affidabili degli intangibles aziendali.

 Photo credits: www.royalkc.it

misurare la fiducia per gestire il capitale commerciale

, di Marco Giuliani

Nei mercati si vive un clima sempre più competitivo dovuto, tra l’altro, al generale rallentamento dell’economia, soprattutto nei paesi occidentali, alla crescita della complessità, al continuo e rapido sviluppo tecnologico nonché alla instabilità dei vantaggi competitivi conseguiti. I cambiamenti in atto incidono profondamente sui processi di creazione di valore, tanto in termini di processi quanto di risorse. La performance aziendale è infatti sempre meno legata a fattori tangibili e di proprietà dell’impresa e sempre più a fattori intangib
ili “condivisi” o “presi in prestito” come le risorse umane e le relazioni con gli stakeholder strategici tra cui i clienti.

Da sempre l’azienda pone in essere relazioni con il mondo esterno ma oggi è diventata particolarmente critica la capacità di creare, mantenere, difendere e gestire relazioni stabili, ossia il capitale relazionale aziendale. In particolare, quando si parla di relazione con i clienti si fa riferimento al concetto di capitale commerciale.

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il capitale intellettuale: making invisible visible

, di Marco Giuliani

L’evoluzione dei mercati e dei modelli competitivi su scala globale, stanno sempre più evidenziando l’importanza quale chiavi del successo aziendali di fattori, detti intangibili o immateriali o “capitale intellettuale”, quali le competenze distintive, la qualità del capitale umano, le relazioni commerciali, l’organizzazione e la qualità della forza vendita, la fidelizzazione della clientela, l’immagine aziendale.
Il capitale intellettuale viene generalmente inteso come insieme di risorse immateriali riferibili al capitale umano, al capitale strutturale e al capitale relazionale. Il capitale umano è costituito dalle conoscenze e competenze possedute dai dipendenti dell’azienda. Il capitale strutturale è rappresentato dalla conoscenza codificata, trasmissibile, condivisibile e riproducibile, incorporata in qualche elemento aziendale (es.: brevetti, database, procedure, ecc.). Il capitale relazionale, infine, è costituito dalle relazioni che l’azienda pone in essere con i propri stakeholders, quali fornitori, clienti, dipendenti, ecc.

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