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l’agent relationship management per monitorare la forza di vendita indiretta

In un contesto di crescente ricorso alla non-price competition, in cui i vantaggi competitivi delle imprese sono sempre più legati ad elementi intangibili, quali le informazioni, le conoscenze e le relazioni, risulta opportuno riconsiderare il ruolo degli agenti e dei rappresentanti ai fini di una sua valorizzazione.
Com’è noto, l’interazione diretta con il mercato fa sì che tali soggetti oltre che costituire un’importante risorsa informativa per l’impresa, possano anche assumere elevate criticità e valenza strategica in una prospettiva relazionale; non può in proposito sfuggire che, in alcuni casi i clienti possono essere più fedeli agli agenti di commercio rispetto alle imprese per le quali questi operano.


Appare evidente che da un loro maggior coinvolgimento nelle attività aziendali si possono ottenere dei benefici significativi per l’impresa. Si pensi al prezioso contributo che potrebbero offrire nelle attività di marketing intelligence, nella creazione e nel trasferimento di conoscenze, nei processi innovativi, nella comunicazione aziendale e nello sviluppo delle relazioni con i clienti.
Si rileva, in tal senso, la necessità di diffondere una cultura di gestione della forza di vendita indiretta, che sia meno orientata agli aspetti quantitativi (fatturato e costi) e al breve termine, e più alla qualità ed allo sviluppo della relazione tra impresa mandante e agente/rappresentante.
E’ in questa logica che può essere evidenziato il concetto di A.R.M. (Agent Relationship Management) – mutuato da quello di C.R.M. (Customer Relationship Management) – con il quale si intende un innovativo approccio al monitoraggio della forza di vendita indiretta, finalizzato allo sviluppo delle relazioni; nell’ottica dell’A.R.M., si pone evidentemente al centro dell’attenzione l’agente/rappresentante e si enfatizza lo scambio reciproco, continuo e “formalizzato” di informazioni – reso più agevole dalle soluzioni offerte dalle ICT -, nell’intento di generare conoscenze utili ad entrambi e di conseguire performance migliori.
Tale concetto implica il ricorso a sistemi di valutazione e di incentivazione che dovrebbero essere orientati oltre che ai risultati connessi alle attività di vendita, anche allo sviluppo dei collaboratori e delle loro relazioni con l’impresa; una certa attenzione andrebbe quindi posta anche sugli aspetti comportamentali. Possono quindi individuarsi due tipi di indicatori: di risultato e di comportamento.
Con riferimento agli “indicatori di risultato”, si evidenzia l’opportunità di integrare gli indici solitamente utilizzati (numero di visite effettuate/ricevute, numero di presentazioni presso nuovi clienti, volume delle vendite, quota di mercato) con altre misure, al fine di pervenire ad una valutazione più corretta. Esempi in tal senso, sono costituiti dai margini di redditività, dal livello di insolvenza della clientela, dal grado di copertura del mercato e di allineamento alle strategie aziendali.
Con gli “indicatori di comportamento” si dovrebbero invece valutare gli atteggiamenti, le azioni e le attività che incidono sullo sviluppo dell’azienda e della sua capacità competitiva. Si considerino per esempio i seguenti aspetti:
– partecipazione ad attività formative;
– incremento del “patrimonio informativo-conoscitivo” aziendale;
– contributo alla costruzione dell’immagine aziendale;
– problematiche e conflitti rilevati;
– livello di fidelizzazione nei confronti dell’impresa;
– creazione e miglioramento delle relazioni tra l’impresa e i clienti.
I vantaggi di simili sistemi appaiono evidenti, ma è altrettanto evidente che ai fini di un’efficace implementazione risulta fondamentale un cambiamento “culturale”, sia in riferimento alle imprese, sia agli agenti.

, di Valerio Temperini, su: Marketing, Comunicazione e Vendite - Tag: , , , , ,

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